itenfr+39 06 85300769
·
studio@llbrlex.com
·
Via Emilio de’ Cavalieri, 11 - Roma
Contatti

Newsletter n. 7 del 17 novembre 2020

0

Sommario

Inammissibile qualsiasi giudizio morale sul riconoscimento dello status di rifugiato per l’omosessualità del ricorrente.

La vicenda ha origine dal ricorso proposto avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Verona da parte di un cittadino extracomunitario, a seguito del diniego del riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato e protezione sussidiaria) e della domanda di protezione umanitaria.
Il ricorrente, proveniente dal Gambia, si era infatti rivolto al Tribunale di Venezia, allegando fra le ragioni a fondamento della propria richiesta le leggi di natura discriminatoria ed omofoba adottate nel suo Paese di origine, che, in considerazione del suo orientamento sessuale, costituivano motivo di persecuzione.
Il Tribunale lagunare, con decreto depositato il 14/03/2019, aveva tuttavia rigettato il ricorso, sostenendo, tra le altre cose, l’assenza di prove rispetto al fatto che il ricorrente avrebbe intrattenuto alcun tipo di rapporto omosessuale dal suo arrivo in Italia.

Avverso il decreto del Tribunale è stato presentato ricorso in Cassazione dall’interessato.
Con l’ordinanza n. 23891/2020, depositata il 29 ottobre 2020, la I Sezione Civile della Cassazione ha accolto il ricorso, esprimendo un duro giudizio sulla legittimità delle ragioni a fondamento del decreto del Tribunale di Venezia. Pur ricordando “l’innegabile margine di discrezionalità che strutturalmente caratterizza la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente” (protezione internazionale e sussidiaria), la Cassazione ha, infatti, ribadito che debbano escludersi i giudizi che riflettano mere opinioni o impressioni soggettivistiche del giudice.
Il giudizio del Tribunale di Venezia sarebbe quindi il frutto di un “pregiudizio affatto ingiustificato”, il prodotto di “una lettura di mortificazione punitiva – sul piano della << moralità sociale>> – degli orientamenti omosessuali” e risulta persino contrario ai principi espressi dall’articolo 3 della Costituzione, il cui comma 2 vieta ogni discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale.

La conoscenza della trasfusione come fatto lesivo si presume dalla domanda di indennizzo.

Un’altra grande vittoria per lo studio Lana Lagostena Bassi Rosi: la Corte d’Appello di Catanzaro, in riassunzione, ha confermato la decisione del Tribunale condannando il Ministero della Salute ad un risarcimento danni di quasi un milione di euro.

Si tratta di una vicenda giudiziaria iniziata nel 2005, che ha visto una donna agire per il risarcimento dei danni subiti dalla madre deceduta a causa dell’epatite B contratta a seguito di trasfusioni di sangue infetto cui si era sottoposta negli anni ‘80.
Il Tribunale in primo grado aveva riconosciuto il diritto della figlia al risarcimento del danno, tuttavia la Corte d’Appello aveva riformato la sentenza considerando l’anzidetto diritto oramai prescritto, dovendosi presumere che la donna avesse avuto conoscenza del danno causato dalle trasfusioni dal 1992, anno in cui era stata approvata la legge per la costituzione dell’indennizzo per i soggetti danneggiati.
A seguito di ricorso, la Cassazione, nel riaffermare un orientamento oramai costante, ha individuato il termine per il decorso della prescrizione ancorandolo alla richiesta dell’indennizzo e non anche, come sostenuto dal Ministero resistente, alla data di entrata in vigore della L 210/1992, tale essendo il momento a partire dal quale la collettività avrebbe acquisito la conoscenza del rischio di contagio da HBV derivante dalle trasfusioni, come sostenuto erroneamente dalla Pubblica Amministrazione.

Alla luce dei rilievi svolti, la Corte d’Appello di Roma, sulla scorta di quanto espresso dalla Cassazione, ha condannato il Ministero della Salute a rifondere l’appellante dei danni, sia quelli subiti dalla madre, sia quelli subiti in proprio.

Obbligo di trasparenza finanziaria tra coniugi che si separano o divorziano.

Quando ci si separa o divorzia, conoscere la situazione reddituale e patrimoniale dell’altra parte, è un dato fondamentale per determinare, ad esempio, se e in che misura è dovuto l’assegno di mantenimento per il coniuge e/o per i figli.

Tuttavia, sino ad oggi, non era facile reperire questi dati, soprattutto se il coniuge che si separava, appellandosi al diritto alla privacy, riusciva a nascondere l’esatto ammontare dei suoi redditi.
Per avere accesso ai dati finanziari dell’altro coniuge, era necessario, infatti, un provvedimento del giudice che permetteva l’accesso alla cosiddetta anagrafe dei rapporti finanziari.

La situazione è stata modificata dalla recente sentenza del Consiglio di Stato, 25 settembre 2020 n. 19 che impone un nuovo obbligo di trasparenza tra coniugi che si separano o divorziano.
I massimi giudici amministrativi hanno infatti stabilito che ciascun coniuge in fase di separazione o divorzio, nonché in caso di scioglimento dell’unione civile, può fare direttamente richiesta all’Agenzia delle Entrate del luogo in cui risiede l’altro coniuge per farsi rilasciare tutte le informazioni economiche necessarie quali dichiarazioni dei redditi, contratti di locazione stipulati, indicazione dei conti correnti, conti, titoli, depositi e risparmi, anche se detenuti tramite una fiduciaria, contratti o operazioni sottoposte a registrazione.
Si auspica che questo sia un primo passo utile volto a snellire i procedimenti giudiziali o, in ogni caso, a raggiungere un accordo bonario.

Corso di specializzazione sulla “Tutela europea dei diritti umani”.

Venerdì 13 novembre è iniziato il Corso di specializzazione sulla “Tutela europea dei diritti umani” giunto alla sua XXI edizione ed organizzato dall’Unione forense per la tutela dei diritti umani. Il Corso è rivolto allo studio del funzionamento del sistema di tutela dei diritti fondamentali, approfondendo in particolare il sistema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), le tutele previste nel diritto dell’Unione europea, nonché la giurisprudenza della Corte europea e l’impatto che questa ha nell’ordinamento italiano.

Il Corso è tenuto da autorevoli esperti in materia, tra cui Guido Raimondi, già Presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo, Raffaele Sabato, giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Seminario sulla “Tutela del diritto di proprietà nella CEDU”.

L’Unione forense per la tutela dei diritti umani ha organizzato il seminario online sulla “Tutela del diritto di proprietà nella CEDU”. Il seminario ha ad oggetto lo studio del diritto di proprietà come diritto fondamentale, con un particolare focus sulle tutele previste dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) tanto sul piano sostanziale che procedurale; inoltre verranno approfondite diverse questioni, tra cui il diritto dominicale, i provvedimenti di confisca e l’occupazione acquisitiva.

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo ha acquisito negli ultimi anni un ruolo sempre più significativo nel contesto dei 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa, ragion per cui una tutela effettiva e completa dei diritti in essa contemplati non può oggi prescindere da un’adeguata conoscenza e impiego della Convenzione stessa. Per tali ragioni, il seminario si traduce in una notevole opportunità di approfondimento e aggiornamento per tutti coloro che abbiano già acquisito, in ragione dell’attività forense o della frequentazione di corsi base sulla materia, una buona conoscenza della Convenzione europea ed intendano implementare la propria preparazione per quanto riguarda il tema della tutela del diritto di proprietà.

Il seminario, tenuto da esperti della materia quali avvocati, professori universitari e giudici della Corte di Cassazione, si articola in 2 incontri, che si terranno venerdì 29 gennaio 2021 e venerdì 5 febbraio 2021, dalle ore 15:00 alle ore 18:00, in modalità streaming, attraverso la piattaforma GoToWebinar. Le iscrizioni verranno aperte a breve.