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Newsletter n. 6 del 22 aprile 2022

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Sommario

Ascolto del minore infra-dodicenne e valutazione del genitore affidatario.

Con l’ordinanza n. 7262 del 4 marzo 2022 la Suprema Corte di Cassazione ha sancito che nell’ambito del giudizio di affidamento e di collocamento, il bambino ha il diritto di essere sentito, il mancato ascolto del minore infra-dodicenne circa il genitore col quale preferisce stare costituisce una violazione del fondamentale principio processualistico del contraddittorio.

L’ordinanza è il frutto dell’accoglimento del ricorso di una donna, le cui bambine erano state affidate in via esclusiva al padre e collocate presso l’abitazione dei nonni. Di fatto un provvedimento punitivo nei confronti della madre che, in pendenza del giudizio di primo grado, dove successivamente all’udienza presidenziale, i coniugi avevano raggiunto accordi in punto di affidamento e collocamento delle minori presso la madre con ampio diritto di visita del padre, si era allontanata con le figlie dall’Italia, senza il preventivo consenso del padre, per ritornare in Africa, rendendosi inadempiente agli ordini dell’Autorità giudiziaria di riportare le due bambine in Italia.

Il giudizio formulato dalla Corte meneghina mancava di ogni valutazione e disamina, in ragione degli indicati contenuti, della capacità genitoriale del padre che è stato individuato quale unico affidatario delle figlie minori – con la modalità, peraltro, che prevedono una collocazione temporanea presso i nonni materni da rivalutarsi dai Servizi sociali al rientro delle bambine in Italia – all’esito del solo severo apprezzamento delle condotte, pure non rimarchevoli, della madre.

La prima sezione civile della Cassazione prendendo le mosse dal principio secondo cui il giudice della separazione e del divorzio deve conformarsi al criterio primario dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole, in materia di affidamento dei minori (art. 337 bis cod. civ. e, in sede di divorzio, dall’art. 6 della legge 1 dicembre 1970, n. 898), ha ribadito che il rispetto del diritto alla bigenitorialità, sostenuto dall’esclusivo interesse del minore, trova espressione nel regime ordinario di affido condiviso, sicché, là dove il giudice di merito intenda derogarvi, tanto deve avvenire per un giudizio prognostico volto a privilegiare il genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare, assicurando il migliore sviluppo della personalità del minore.

L’individuazione di tale genitore non può pertanto muovere dal solo negativo apprezzamento dell’altro che si stimi inadeguato, quale affidatario, ad assolvere ai compiti di cura ed educazione del figlio, ma deve tradursi in un accertamento in cui l’indicata capacità venga positivamente scrutinata rispetto al genitore indicato quale unico affidatario.

Il giudizio deve essere pertanto sviluppato in via comparativa, evidenziando dell’uno, per richiamo ad elementi concreti – tra i quali le modalità con cui il genitore affidatario ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto -, la capacità o migliore capacità di far fronte agli adempimenti suoi propri e dell’altro genitore insuperabili mancanze ed inadeguatezze.

Il giudice nel formulare il giudizio prognostico deve ascoltare l’infra-dodicenne su quale sia il genitore con cui preferisce stare.

Secondo la Suprema Corte il minore è parte sostanziale nel procedimento di separazione dei suoi genitori, perché è portatore di interessi diversi, e anche contrapposti ai loro, in relazione alle decisioni a lui relative.

Dunque, l’omesso ascolto del minore infra-dodicenne integra una violazione del contraddittorio processuale tra le parti, che rende nullo il provvedimento adottato dal giudice, se non contiene una motivazione adeguata sull’assenza di discernimento del bambino.

La Corte EDU accerta la violazione dell’art. 2 CEDU in un gravissimo caso di violenza domestica.

Con sentenza del 7 aprile 2022, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata nel caso Landi c. Italia (no. 10929/19) condannando così l’Italia per la violazione dell’art. 2 CEDU (diritto alla vita).

Il caso riguarda l’inerzia delle autorità italiana nel proteggere una donna, la sig.ra Landi, e i suoi figli dalle violenze e i maltrattamenti inflittigli ripetutamente dal compagno, N.P., che avevano condotto all’omicidio del figlio di un anno e al tentato omicidio di lei.

In particolare, la ricorrente iniziava ad intrattenere una relazione con il suo partner nel 2010 senza essere a conoscenza del fatto che soffrisse di un disturbo bipolare da quando aveva vent’anni e che nel tempo aveva sofferto altresì di un disturbo ossessivo-compulsivo e aveva mostrato in diverse occasioni comportamenti violenti, tanto da avere a suo carico un ordine restrittivo nei confronti della sua precedente compagna.

I due avevano avuto due figli, una nel 2011 e l’altro nel 2017. Dal 2015 al 2018 la sig.ra Landi si recava ben quattro volte alla polizia in seguito alle violente aggressioni del compagno al fine di sporgere denunce, successivamente ritirate. In tutti i casi la polizia si attivava correttamente. L’autorità giudiziaria, invece dava inizio tardivamente ad un unico procedimento per violenza domestica, senza neppure emettere alcun provvedimento per la protezione della signora Landi e dei suoi figli durante l’inchiesta.

L’ultima aggressione da parte di N.P. causava la morte per accoltellamento del figlio e il tentato omicidio della sig.ra Landi. N. P. veniva condannato a 20 anni di reclusione a ad un risarcimento nei confronti della sig.ra Landi e dela figlia di 100.000 euro.

A fronte dei fatti su menzionati, la ricorrente proponeva ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo per la violazione dell’art. 2 CEDU (diritto alla vita) e dell’art. 14 CEDU letto in congiunzione all’art 2 CEDU (divieto di discriminazione).

La sig.ra Landi affermava di aver presentato diverse denunce penali, che le autorità non avevano preso in seria considerazione, creando così un contesto di impunità favorevole alla ripetizione degli atti di violenza perpetrati dal suo partner. Le autorità, seppur avvertite, non avevano posto in essere le misure necessarie e appropriate per proteggere la vita della ricorrente e dei suoi figli. Il PM aveva avviato un’indagine solo nel 2018, rubricando la fattispecie come “violenze domestiche” e sottovalutando il pericolo per la vita della ricorrente e dei suoi figli.

La ricorrente invocava altresì la violazione dell’art. 14 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 2, sostenendo che la mancanza di protezione legislativa e di una risposta adeguata da parte delle autorità alle sue denunce nei confronti del partner costituivano un trattamento discriminatorio fondato sul sesso (così come riscontrato nel caso Talpis c. Italia).

Il governo, dal canto suo affermava che le autorità non avrebbero potuto prevedere il gesto di N.P., soprattutto perché la stessa ricorrente aveva deciso di continuare a vivere con lui e aveva ritirato le denunce precedentemente presentate. Inoltre, in relazione alla violazione dell’art. 14, il governo, dopo aver illustrato le leggi esistenti in Italia a tutela delle donne vittime di violenza domestica, sottolineava che, secondo dati statistici precisi e affidabili, l’Italia risulta essere uno dei paesi europei con il minor numero di casi di femminicidio nonché il più avanzato nella lotta contro la violenza sulle donne.

La Corte nella sentenza in commento riteneva non sussistente nel caso di specie la violazione dell’art. 14 CEDU letto congiuntamente all’art. 2 CEDU.

Riconosceva invece la violazione dell’obbligo positivo dello stato di adottare le misure preventive necessarie a proteggere un individuo la cui vita è minacciata da azioni criminali altrui ai sensi dell’art. 2 CEDU.

Infatti, se le autorità sanno o avrebbero dovuto sapere dell’esistenza di un rischio reale e imminente per la vita di un determinato individuo a causa delle azioni criminali di un terzo devono prendere tutte le misure che ci si può ragionevolmente aspettare da loro per evitare tale rischio (principio espresso per la prima volta in Osman c. il Regno Unito e successivamente specificato in relazione alla violenza domestica in Kurt c. Austria).

Tre nuove importanti vittorie dinanzi la Corte europea dei diritti dell’uomo per lo studio Lana Lagostena Bassi Rosi.

La Corte europea dei diritti dell’uomo nei casi Nappo c. Italia e Terrone c. Italia riconosceva, con sentenze del 14 aprile u.s., la violazione dell’art. 2 procedurale CEDU (diritto alla vita), condannando l’Italia al risarcimento dei danni in favore dei ricorrenti.

Nel caso M.L. c. Italia, la Corte riscontrava invece il raggiungimento di un componimento amichevole tra il ricorrente ed il Governo, che aveva nel frattempo riconosciuto l’eccessiva durata del procedimento interno teso ad ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa delle infezioni da trasfusioni.

I casi riguardavano l’eccessiva durata del procedimento interno avviato dai ricorrenti al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa di trasfusioni da sangue infetto. Ai ricorrenti, nei primi due casi, erano succeduti gli eredi nel corso del procedimento dinanzi la Corte.

Lo Studio Lana Lagostena – Bassi si batte da decenni, sia dinanzi le corti interne che dinanzi la Corte europea dei diritti dell’uomo, affinché vengano riconosciute e risarcite le violazioni che lo Stato italiano ha perpetrato in materia di trasfusione da sangue infetto sino agli anni ‘90.

L’inoperatività della compensatio lucri cum damno nel danno da emotrasfusioni se l’Amministrazione non prova le somme effettivamente percepite.

Un’altra grande vittoria per lo studio Lana Lagostena Bassi Rosi.

Con sentenza n. 12388/22, pubblicata in data 15 aprile 2022, la Corte di Cassazione nel confermare la natura di eccezione in senso lato della compensatio lucri cum damno, ribadisce la necessità a che venga provato nello specifico l’ammontare preciso della somma per lo scomputo dal risarcimento del danno.

Il caso di specie vede la ricorrente agire dinanzi al Tribunale di Napoli contro il Ministero della Salute per ottenere un risarcimento a seguito di danni subiti, derivanti da emotrasfusioni di sangue infetto.

Il Tribunale accoglieva la domanda attorea, condannando il Ministero.

Quest’ultimo proponeva appello, sostenendo che alla somma prevista a titolo di risarcimento del danno si sarebbe dovuto decurtare quanto percepito a titolo di indennizzo ai sensi della L. n. 210/1992, poiché parte ricorrente aveva allegato in primo grado l’accoglimento dell’istanza per il riconoscimento del suddetto beneficio.

La Corte di appello accoglieva l’impugnazione del Ministero decurtando di un terzo l’importo risarcitorio.

Gli Avvocati dello studio Lana Lagostena Bassi Rosi, proponevano, dunque, ricorso in Cassazione asserendo che non potesse operare la decurtazione dell’indennizzo sulla mera scorta dell’accoglimento della domanda e che la Pubblica Amministrazione non aveva adempiuto all’onere probatorio. Il responso, infatti, pur costituendo il presupposto per dar luogo ai benefici di cui alla legge 210/92, non dimostra l’effettiva erogazione a favore dell’interessata.

Gli ermellini nell’accogliere il motivo di ricorso hanno cassato senza rinvio la sentenza della Corte di Appello di Napoli, disponendo la non operatività della decurtazione tra quanto dovuto a titolo di risarcimento del danno e quanto percepito a titolo di indennizzo.

Al via il nuovo corso di specializzazione organizzato dall’unione forense per i diritti umani in “business and human rights”.

L’Unione Forense per la Tutela dei Diritti Umani organizza il Corso di specializzazione in “Business and Human Rights” presso la sede del Consiglio Nazionale Economia e Lavoro (CNEL) nelle giornate del 19 e 27 maggio 2022.

Sin da quando il Consiglio dei Diritti Umani ha approvato nel 2011 i Principi Guida su Imprese e Diritti Umani (Guiding Principles on Business and Human Rights), il tema dell’impatto dell’attività di impresa sui diritti umani e l’ambiente ha assunto crescente importanza a livello globale, europeo e nazionale. Basti pensare che in seno alla stessa Unione Europea, dopo l’adozione nel 2014 della Direttiva sul reporting non finanziario per le grandi imprese, si è assistito a una costante attenzione che di recente si è tradotta in una proposta di direttiva della Commissione europea in materia di Sostenibilità delle imprese e dovere di diligenza. Il dibattito osservato negli ultimi anni non ha, inoltre, lasciato indifferente il nostro Paese che, attraverso l’azione propulsiva del Comitato Interministeriale per i Diritti Umani (CIDU), è stato tra i primi a dotarsi di un Piano Nazionale d’Azione su Impresa e Diritti Umani, ormai giunto alla sua seconda edizione. In una economia sempre più globalizzata e attenta ai temi della sostenibilità, occorrono sempre più figure altamente formate, sia all’interno che all’esterno delle imprese, al fine di vigilare sulle eventuali violazione dei diritti umani.

Il Corso di specializzazione organizzato dall’Unione Forense per la Tutela dei Diritti Umani intende offrire un quadro completo sulle sfide e le opportunità relative al rapporto che intercorre tra diritti umani e attività di impresa. L’iniziativa, ospitando interventi dall’alto valore accademico e testimonianze dei rappresentanti delle imprese, vuole promuovere una cultura della sostenibilità attraverso la formazione di avvocati e attivisti, la condivisione di best practices e la sensibilizzazione delle imprese.

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