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Newsletter n. 4 del 5 agosto 2025

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Sommario

Lotta ai cambiamenti climatici: la Corte internazionale di giustizia conferma gli obblighi di prevenzione degli Stati

di Valentina De Giorgio

Il 23 luglio 2025, la Corte internazionale di giustizia (CIG), il più alto organo giudiziale internazionale, ha depositato l’attesissimo parere consultivo riguardante obblighi degli Stati in relazione ai cambiamenti climatici. Si tratta di un parere storico, che, pur se privo di efficacia vincolante, potrebbe costituire la base per l’avvio di procedimenti contro Stati e imprese a livello internazionale e interno.

Il parere trae origine dall’iniziativa della Repubblica di Vanuatu, che nel 2022 aveva sollecitato l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a richiedere alla Corte dell’Aia di esprimersi sulla tematica. Tale richiesta si è concretizzata con la risoluzione 77/276 del 29 marzo 2023, rivolgendo alla Corte due domande principali: in primo luogo, chiedeva quali fossero, ai sensi del diritto internazionale, gli obblighi degli Stati di garantire la protezione del sistema climatico e dell’ambiente; in secondo luogo, chiedeva quali fossero le conseguenze giuridiche in capo agli Stati della violazione di tali obblighi.

La Corte ha replicato affermando che gli Stati hanno l’obbligo di contrastare i cambiamenti climatici e che tale obbligo deriva non solo dai trattati internazionali (Convenzione quadro delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici, Protocollo di Kyoto, Accordo di Parigi), ma anche dal diritto consuetudinario. Gli Stati hanno l’obbligo di prevenire danni significativi all’ambiente agendo con la diligenza dovuta e adottando tutte le misure necessarie per prevenire le danni al sistema climatico e all’ambiente. Nel far ciò, la Corte ha richiamato il fondamentale principio delle responsabilità comuni ma differenziate, uno dei pilastri fondamentali del diritto internazionale ambientale, secondo cui tutti i paesi sono chiamati a tutelare l’ambiente, ma con gradi di impegno e responsabilità diversi, in base alle loro capacità e al loro contributo storico alle emissioni. La Corte afferma che gli Stati hanno, altresì, l’obbligo di cooperare in buona fede e di assicurare l’effettivo godimento dei diritti umani. Un inadempimento degli obblighi citati comporta un illecito internazionale, aprendo la strada ad azioni di responsabilità tra Stati: ogni Stato leso potrà invocare la responsabilità dello Stato che non ha rispettato i suddetti obblighi.

Il procedimento che ha portato al parere ha visto un livello di partecipazione senza precedenti, con il deposito di ben 91 osservazioni scritte da parte di Stati e organizzazioni internazionali. Il parere della Corte internazionale di giustizia è stato depositato poche settimane dopo quello della Corte interamericana dei diritti umani, pubblicato il 3 luglio 2025, e poco più di un anno dopo quello del Tribunale internazionale per il diritto del mare, adottato il 21 maggio 2024, a dimostrazione della fondamentale rilevanza della lotta al contrasto climatico.

Il messaggio della Corte dell’Aia è chiaro: la lotta ai cambiamenti climatici, che mettono a rischio l’intero pianeta e tutta l’umanità, deve essere una delle massime priorità degli Stati, che potranno essere ritenuti responsabili per illeciti internazionali nel caso di violazione degli obblighi a loro imposti.

Trattenimenti nei centri di permanenza per i rimpatri: i limiti costituzionali attinenti alla restrizione della libertà personale secondo la Consulta

di Sara Tosi

 La Corte costituzionale, con la sentenza n. 96 del 9 giugno 2025, è tornata ad interrogarsi sui limiti costituzionali attinenti alla restrizione della libertà personale, affrontando, questa volta, il tema dei trattenimenti nei centri di permanenza per i rimpatri ex art. 14 del Testo unico sull’immigrazione.

L’impulso deriva dal Giudice di pace di Roma, il quale solleva due distinte questioni di legittimità costituzionale.

Dapprima, lamenta la mancanza di una disciplina puntuale dei modi mediante i quali viene effettuato il trattenimento, specie alla luce del pressoché integrale rinvio in tal senso a fonti subordinate (nello specifico, al d.p.r. n. 394 del 31 agosto 1999), il che non tiene conto della riserva assoluta di legge prevista dalla nostra Costituzione per le ipotesi di restrizione della libertà personale. Tale vuoto di tutela comporterebbe, dunque, la violazione degli artt. 13 e 117 Cost., oltre che dell’art.5 Cedu.

D’altro canto, ravvisa un’inesistenza di tutele giurisdizionali, in quanto non sia nemmeno presente l’indicazione dell’autorità competente a controllare la legalità di simili restrizioni. Difatti, la situazione di coloro che si ritrovano trattenuti in tali centri è ancor più sprovvista di garanzie rispetto a quella dei detenuti nelle case circondariali, per i quali è quantomeno previsto il rimedio dell’art. 35 bis ord. pen. Questo, porta il rimettente a sostenere un contrasto con gli artt.2, 3, 10, 24, 25, 31, 111 Cost.

Orbene, la Corte costituzionale ha ritenuto effettivamente esistente un vulnus di tutela.

Il riferimento è alla riserva assoluta di legge, poiché la disposizione censurata reca una normativa del tutto inidonea a definire, con sufficiente precisione, quali siano i «modi» della restrizione, così come i diritti delle persone trattenute. In tal senso, essa rammenta come, alla luce dell’art. 13 co. 2 Cost., la fonte primaria debba prevedere non soltanto i «casi» di restrizione della libertà personale, ma altresì i «modi» mediante i quali questa possa avvenire (così la Corte richiama una serie di precedenti sentenze, tra cui la n. 25 del 2023 e la n.22 del 2022).

Essendo dunque la disciplina essenzialmente rimessa, come lamentato dal rimettente, a norme regolamentari e a provvedimenti amministrativi discrezionali, la Corte sostiene che il legislatore sia venuto meno all’obbligo positivo imposto dall’art.13 Cost., tentando di eludere la riserva assoluta di legge in esso prevista.

Ciononostante, le questioni sollevate vengono dichiarate inammissibili, rammentando che non rientri tra i compiti della Consulta quello di porre rimedio alla mancanza di una normativa compiuta che assicuri il rispetto dei diritti fondamentali e della dignità delle persone trattenute. Tale dovere ricade inevitabilmente in capo al legislatore, al quale spetterà attivarsi al fine di far cessare la situazione oggi presente nei luoghi di cui si discute. D’altra parte, sul piano dei rimedi processuali, la Corte ravvisa la possibilità di avvalersi dell’art. 700 c.p.c., sottolineando, tuttavia, che ciò non faccia venir meno il vuoto di tutela e, nemmeno, la conseguente necessità d’intervento.

La Corte costituzionale affronta nuovamente il tema della tutela dei diritti fondamentali nel soccorso in mare

di Marialessia Tritta

Con la sentenza n.101/2025, la Corte costituzionale si è pronunciata sulla legittimità dell’articolo 1, comma 2-sexies, del decreto-legge n.130/2020, come modificato dal d.l. n.1/2023, che prevede sanzioni pecuniarie e il fermo amministrativo delle navi il cui comandante non fornisca le informazioni richieste o non si uniformi alle indicazioni delle autorità competenti per la ricerca e il soccorso in mare, comprese quelle operanti in aree SAR estere.

Nel giudizio in via incidentale del Tribunale di Brindisi, è emersa la questione della compatibilità della disposizione con gli obblighi internazionali in materia di diritti umani. In particolare, veniva denunciato il rischio che l’esecuzione automatica degli ordini provenienti dalla Guardia costiera libica – spesso non formalizzati e provenienti da un contesto istituzionale segnato da gravi violazioni – potesse condurre a operazioni di respingimento verso porti non sicuri, in violazione del principio di non-refoulement, sancito dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, nonché degli articoli 3 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che vietano la tortura e i trattamenti inumani e impongono un ricorso effettivo contro tali violazioni.

La Corte ha ritenuto infondate le censure, ma non senza precisazioni rilevanti. In primo luogo, ha riconosciuto la natura punitivo-afflittiva del fermo amministrativo, con ciò estendendo alla sanzione le garanzie costituzionali tipiche della materia penale, in linea con la giurisprudenza della Corte EDU. Sotto questo profilo, ha ribadito che qualsiasi misura limitativa deve essere conforme al principio di legalità e proporzionalità.

La Corte ha escluso che la norma impugnata configuri un generico rinvio agli ordini delle autorità straniere. Al contrario, ha chiarito che le indicazioni da parte di un’autorità SAR (nazionale o estera) sono vincolanti solo se legalmente impartite e conformi alle disposizioni della Convenzione SAR del 1979 e del diritto internazionale vigente.

L’inosservanza, dunque, è sanzionabile solo se l’ordine si presenta come legittimo sia sul piano formale sia sostanziale. Di conseguenza, non può essere punito il comandante che disattenda indicazioni contrarie ai diritti fondamentali delle persone soccorse, come nel caso di un ordine che imponga lo sbarco in un porto non sicuro.

Questo passaggio è cruciale, perché riporta l’intero impianto sanzionatorio entro i limiti imposti dal diritto internazionale consuetudinario e pattizio, con particolare riguardo al divieto assoluto di tortura e trattamenti degradanti e al dovere di garantire uno sbarco in un luogo sicuro. La Corte ha richiamato l’obbligo degli Stati di cooperare nelle attività di soccorso in mare senza che ciò comporti compressione dei diritti delle persone migranti, riaffermando il primato della protezione umanitaria.

La decisione della Corte rappresenta un significativo richiamo ai principi del diritto del mare e ai doveri derivanti dal rispetto dei diritti umani, imponendo agli organi amministrativi e ai giudici ordinari una lettura della norma conforme agli standard internazionali. Resta aperta una questione cruciale: in che misura, nella prassi, le autorità amministrative e giudiziarie italiane garantiranno una valutazione effettiva della legittimità degli ordini impartiti da autorità estere, e in particolare di quelli provenienti dalla Guardia costiera libica, le cui condotte – come denunciato da numerosi organismi delle Nazioni Unite – si pongono spesso in contrasto con i principi fondamentali di legalità, trasparenza e tutela della dignità umana. In definitiva, la sentenza n.101/2025 riafferma un principio essenziale: la legalità formale non può mai prescindere dal rispetto sostanziale dei diritti umani. E in mare, più che altrove, il diritto internazionale non può essere invocato solo per disciplinare i limiti della navigazione: deve essere il primo fondamento della tutela della vita e della dignità di ogni persona soccorsa.

Seminario su “Diritto internazionale delle migrazioni”

dalla Redazione dello Studio

L’Unione forense per la tutela dei diritti umani organizza una serie di incontri su “Diritto internazionale delle migrazioni”. (LOCANDINA)

Il seminario è aperto a tutti coloro i quali siano interessati ad approfondire l’argomento della tutela internazionale dei diritti fondamentali, con particolare riferimento ai diritti degli stranieri e alla tutela antidiscriminatoria. Le lezioni saranno tenute da parte di alcuni dei massimi esperti in materia.

Al termine del corso è previsto il rilascio di un attestato di partecipazione.

Il seminario si articola in 4 incontri, che si terranno in modalità streaming attraverso la piattaforma Microsoft Teams nelle seguenti date:

  • venerdì 26 settembre 2025 (ore 14.00 – 18.00) – “Il diritto degli stranieri tra diritto internazionale, CEDU e Unione Europea”, tenuto dalla Prof.ssa Angela Di Stasi, dalla Prof.ssa Chiara Favilli e dal Giudice Martina Flamini;
  • venerdì 10 ottobre 2025 (ore 14.00 – 18.00) – “La tutela giudiziale effettiva tra diritto UE, CEDU e diritto interno”, tenuto dalla Dott.ssa Lucia Tria, dal Giudice Luca Minniti e dal Prof. Marcello Di Filippo;
  • venerdì 24 ottobre 2025 (ore 14.00 – 18.00) – “La tutela antidiscriminatoria tra diritto internazionale, UE e italiano”, tenuto dalla Prof.ssa Chiara Favilli e dal Dott. Carlo De Chiara;
  • venerdì 7 novembre 2025 (ore 14.00 – 18.00) – “La deontologia in materia di migrazione e protezione internazionale dinanzi alle giurisdizioni interne e internazionali”, tenuto dall’Avv. Antonio Fraticelli e dall’Avv. Barbara Porta.

Il costo della partecipazione al seminario (4 incontri) è di 150,00 € oltre IVA (183,00 € complessivi). È possibile iscriversi ai singoli incontri con una quota di partecipazione di € 45,00 oltre IVA (€ 55,00 complessivi).

Le iscrizioni dovranno pervenire entro il 1° settembre 2025. Per iscriversi è necessario compilare il modulo di iscrizione che può essere reperito sul sito dell’associazione oppure richiesto tramite mail all’indirizzo info@unionedirittiumani.it.

Per ulteriori informazioni rivolgersi alla segreteria dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani (sig.ra Gioia Silvagni), tel. 06-8412940.

 

 

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