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Newsletter n. 10 del 29 novembre 2021

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Sommario

L’assegno di mantenimento può essere revocato al figlio maggiorenne che non studia e non lavora.

La Cassazione civile con l’ordinanza n. 32406 del 2021 ha confermato un suo orientamento secondo cui l’assegno di mantenimento può ben essere revocato al figlio maggiorenne che non studia e non lavora.

Nella fattispecie la Corte d’Appello di Caltanissetta, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Enna, revocava il contributo precedentemente posto a carico del padre per il mantenimento del figlio più che maggiorenne e l’assegnazione della casa familiare alla ex moglie.

La signora proponeva dunque ricorso per Cassazione avverso la suddetta sentenza poiché la Corte di Caltanissetta nel revocare l’assegno di mantenimento in favore del figlio e l’assegnazione della casa familiare non aveva tenuto in debito conto, da un lato, l’incapacità del figlio di conseguire un reddito adeguato alla sua professionalità e dall’altra, la condizione economica delle parti.

La Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso.

Secondo il principio di autoresponsabilità, cui la Corte d’appello dava corretta applicazione, il figlio maggiorenne non deve abusare del diritto di essere mantenuto dal genitore oltre ragionevoli limiti di tempo poiché “l’obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione”, che nel caso di specie senz’altro mancava, trattandosi di un giovane di 32 anni che da tempo aveva smesso di studiare.

Per quanto invece riguarda l’assegnazione della casa familiare, la Suprema Corte stabiliva che questa non può assumere una funzione di perequazione delle condizioni patrimoniali dei coniugi, ma ha l’unica finalità di soddisfare l’esigenza di protezione dei figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti.

Di conseguenza, secondo la Corte, nella valutazione degli indici di rilevanza, la sussistenza dei requisiti per il mantenimento va ponderata con rigore crescente con il crescere dell’età del figlio, sicché “il figlio trentenne che ha smesso di studiare da anni senza riuscire a inserirsi in modo stabile nel mondo del lavoro perde l’assegno di mantenimento. Irrilevante che non sia riuscito a raggiungere l’indipendenza economica”.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 27139, si pronuncia nuovamente in materia di illecito endofamiliare

La Corte di Cassazione, I sezione civile, con ordinanza del 6 ottobre 2021, nel cassare con rinvio la sentenza della Corte d’appello di Torino, ha ricordato che la violazione da parte di un genitore dei doveri di mantenimento, istruzione e educazione della prole integra gli estremi dell’illecito endofamiliare e apre all’esercizio, ai sensi dell’articolo 2059 c.c., di un’azione autonoma volta al risarcimento dei danni non patrimoniali, sia tale violazione temporanea o permanente.

La vicenda originava dal ricorso presentato da R.L. al Tribunale per i minorenni di Torino col quale domandava la condanna di F.R. alle spese di mantenimento del figlio, il rimborso delle spese mediche e scolastiche nonché il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dal progressivo abbandono del figlio da parte del padre, F.R, e dalla trascuratezza di quest’ultimo circa i doveri di mantenimento, istruzione e educazione del figlio. Il Tribunale di Torino accoglieva parzialmente la domanda, condannando F.R. a corrispondere all’attrice gli arretrati dell’assegno di mantenimento per il figlio e le spese mediche e scolastiche. Il Tribunale rigettava invece la domanda risarcitoria.

R.L. proponeva quindi appello, contestando la mancata ammissione delle prove testimoniali a sostegno dei danni causati dalla condotta del padre, risultanti in un illecito endofamiliare relativo alla privazione della figura paterna sofferta dal minore.

La Corte d’appello rigettava, sostenendo che non era stato provato un danno allo sviluppo psico-fisico del figlio conseguente all’abbandono del padre, nonostante si riconoscesse la generale assenza di F.R., “tale da non aver potuto lasciare, a livello cosciente, ricordi della stessa figura paterna”.

Avverso tale sentenza venivano proposti tre motivi di ricorso per Cassazione. La ricorrente denunciava che la Corte d’appello aveva, a torto, escluso la sussistenza di un illecito endofamiliare derivante dall’abbandono del padre, nonostante la chiara violazione dei diritti fondamentali del minore integrata da tale disinteressamento già dopo i primi mesi di vita. R.L. sollevava inoltre la mancata ammissione delle prove a sostegno di tale danno.

Nell’accogliere il ricorso, la Cassazione ribadiva che “secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole non trova sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti; questa, pertanto, può dar luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c. esercitabile anche nell’ambito dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità”.

Con riferimento al caso di specie, la Corte ricordava che l’illecito endofamiliare può essere sia istantaneo – e quindi derivante da una singola condotta – che permanente, qualora il genitore si estranei completamente per un periodo significativo dalla vita dei figli (Cass., n. 11097/2020). Pertanto, in considerazione dei soli diciotto mesi durante i quali il padre aveva frequentato il figli, la Corte d’appello aveva erroneamente escluso la sussistenza di un tale illecito. Il giudice deve infatti considerare l’abbandono come una condotta che si protrae ininterrottamente e valutare le conseguenze sullo sviluppo fisio-psichico del minore derivanti dalla privazione della figura paterna, che nel caso di specie era stata deliberatamente voluta dal padre e si era concretizzata nell’azione da lui esercitata per chiedere di essere dichiarato decaduto dalla potestà genitoriale.

Super Green pass

Dal 6 dicembre il Green Pass rafforzato diverrà requisito necessario per poter accedere ai bar ed ai ristoranti al chiuso, eventi sportivi (mentre per le palestre sarà sufficiente il certificato verde ottenibile anche con tampone negativo), discoteche, vari esercizi commerciali, cinema, teatri, nonché cerimonie pubbliche. Non varrà più il tampone con esito negativo per poter fare ingresso nei luoghi in cui si svolgono le diverse attività ricreative. L’utilizzo del c.d. super Green Pass è previsto anche in zona bianca.

Ulteriore novità rilevante è l’obbligo di green pass per l’uso dei mezzi pubblici di trasporto e alberghi, in questo caso si potrà utilizzare anche quello ottenibile per mezzo di un tampone, rimane invariato anche l’utilizzo del “normale” per l’accesso ai luoghi di lavoro.

Infine la validità del certificato verrà ridotta da dodici a nove mesi.

Tali regole resteranno in vigore sino al 15 gennaio 2022.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato sull’incompatibilità delle proroghe automatiche nelle concessioni demaniali marittime con la normativa UE

Con decreto n. 160 del 2021, il Presidente del Consiglio di Stato, ha ritenuto opportuna che l’Adunzanza Plenaria si pronunciasse sulla compatibilità delle proroghe ex lege delle concessioni demaniali marittime con la normativa eurounitaria.

La questione riguardava la disapplicazione, da parte della Repubblica Italiana, delle leggi statali o regionali che prevedano proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative; in particolare, se, per l’apparato amministrativo e per i funzionari dello Stato membro sussista, o no, l’obbligo di disapplicare la norma nazionale confliggente col diritto dell’Unione europea, nonché se, nel caso di direttiva self-excuting, l’attività interpretativa prodromica al rilievo del conflitto e all‘accertamento dell’efficacia della fonte sia riservata unicamente agli organi della giurisdizione nazionale o spetti anche agli organi di amministrazione attiva. Nel caso di risposta affermativa al precedente quesito, se, in adempimento del predetto obbligo disapplicativo, l’amministrazione dello Stato membro sia tenuta all’annullamento d’ufficio del provvedimento emanato

. La questione è stata già in gran parte scandagliata dalla Corte di giustizia U.E., con la sentenza 14 luglio 2016, in cause riunite C-458/14 e C-67/1: l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che essa osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico‑ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati; uguale interpretazione deve essere attribuita al disposto di cui all’articolo 49 TFUE.

 L’Adunanza plenaria ha ritenuto che debba essere ribadito il principio secondo cui il diritto dell’Unione impone che il rilascio o il rinnovo delle concessioni demaniali marittime (o lacuali o fluviali) avvenga all’esito di una procedura di evidenza pubblica, con conseguente incompatibilità della disciplina nazionale che prevede la proroga automatica ex lege fino al 31 dicembre 2033 delle concessioni in essere.

Dalla disapplicazione della legge provvedimento consegue che gli effetti da essa prodotti sulle concessioni già rilasciate debbano parimenti ritenersi tamquam non esset, senza che rilevi la presenza o meno di un atto dichiarativo dell’effetto legale di proroga adottato dalla P.A. o l’esistenza di un giudicato.

Presentazione dell’osservatorio sulla giurisprudenza CEDU in occasione dell’incontro “Migrazioni e diritti procedural – processuali nel sistema CEDU”

Il 22 dicembre 2021, alle ore 15.30 e presso l’Aula Magna della Cittadella giudiziaria di Salerno, si terrà il convegno dal titolo “Migrazioni e garanzie procedural-processuali nel sistema CEDU”. L’incontro vedrà la partecipazione dell’Avv. Prof. Anton Giulio Lana, Presidente dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani, che interverrà per presentare l’Osservatorio sulla giurisprudenza CEDU avviato dall’Unione e finanziato dalla Fondazione Terzo Pilastro Internazionale. All’incontro, moderato dall’Avv. Gaetano D’Avino, Coordinatore della sezione campana dell’UFDU, prenderanno inoltre parte, tra gli altri: la Dott.ssa Iside Russo, Presidente della Corte di Appello di Salerno; la Dott.ssa Mariagrazia Pisapia, Referente per la formazione decentrata dei Magistrati; l’Avv. Silverio Sica, Presidente del Consiglio dell’ordine di Salerno; la Prof.ssa Angela Di Stasi, Ordinario di diritto internazionale e di diritto dell’UE presso l’Università di Salerno e Direttore dell’Osservatorio SLSG; il Prof. Giuseppe Cataldi, Ordinario di diritto internazionale presso l’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, Presidente dell’Association Internationale du droit de la mer e Coordinatore Network UE Jean Monnet MAPS (Migration and Asylum Policy Systems).Locandina

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